Atti del Convegno XVII

Prefazione

Si potrebbe ingenuamente credere che, quando un Convegno come questo giunge alla sua XVII edizione, tante sono l'abitudine, l'esperienza, la pratica accumulate, che le cose vadano da sole, facilmente, senza intoppi. Non è così. Sta nella natura delle cose, che qualcuno ha espresso come "Leggi di Murphy", che la Realtà sappia scegliere ogni volta il modo migliore per presentare i suoi lati più ironici, negativi, complessi. E così, ogni organizzazione, ogni anno, anno dopo anno, ha sue complessità specifiche, nate per l'occasione, mai incontrate prima. Per esempio, può accadere che il luogo storico del Convegno debba andare in ristrutturazione esattamente nel periodo previsto per il Convegno stesso; che vi sia un cambio di direzione in un hotel con conseguente perdita della lista delle camere prenotate; che vi siano conferenzieri che non attengono il visto dall'Ambasciata; che … Ma perché continuare in questo cahier de doléances? Come mi dicono i miei collaboratori, dove starebbe il divertimento, se la cosa non fosse ogni anno nuova e sempre più complicata? Avranno ragione loro?

Fin qua, le cose della realtà più banale; poi ci sono i temi. La scelta dei temi va fatta un anno per l'altro; sapere che una riforma nazionale di tutta la struttura educativa sta per diventare fattiva, potrebbe indurre tutti a rivedere piani didattici, modalità curricolari, scelte strategiche, criteri di valutazione, contenuti… Tutto, insomma. Ma, al momento di decidere, quando sembrava che il tema più scottante nazionale fosse proprio la riforma scolastica, qualche cosa, qualcuno ha suggerito che la cosa non sarebbe andata così liscia, che le scelte pedagogiche di fondo, tanto decantate, non è detto che sarebbero state adottate, che… E così, abbiamo preferito pensare, più che a riforme a tavolino, alla pratica d'aula, rifugio che sempre dà sicurezza, àncora di salvezza. Si può studiare didattica, infatti, per il gusto astratto di farlo, come disciplina in sé, anche senza legami con la pratica d'aula; ma la si può studiare anche, invece, traendo i problemi di ricerca dall'aula, dai banchi di scuola, suggeriti dagli insegnanti che, quotidianamente, vivono la loro professionalità, fatta di successi e di problemi, a contatto con i giovani allievi (di ogni età, da 3 a 30 anni). Si può far didattica teorica, come detto nel primo caso, ma questa non mi convince; il pubblico dei "miei" insegnanti ha più volte mostrato che non è questa la scelta che predilige: preferisce ascoltare versioni praxeologiche, scelte concrete, legate alla realtà vera; preferisce, oltre che ascoltare relazioni, partecipare a seminari, mostre, laboratori condotti da colleghi che hanno avuto successo, che vogliono raccontare una loro esperienza positiva.

Questo è sempre stato il nostro Convegno.

Allargarlo, mi si dice. Farlo conoscere di più, mi si dice. Ma noi mandiamo già 14.000 inviti personali, per avere tra i 1000 ed i 1500 partecipanti; averne di più, sarebbe ingestibile. Come ampliare il discorso? Ci è venuta in soccorso l'ADT che ci ha proposto di svolgere il loro Convegno annuale 2003 all'interno della nostra struttura, anche per suggellare definitivamente un patto sempre esistito, ma più per simpatia ed interessi comuni che formalmente. E così, eccoli qui, questi straordinari studiosi italiani che sperimentano l'uso di strumenti tecnologicamente avanzati nella loro pratica didattica, insieme al Convegno tradizionale, ad offrire riflessioni specifiche.

Ecco, questa è una crescita.

Affido ai relatori da me scelti quest'anno il compito di rilanciare l'entusiasmo tra gli insegnanti di matematica. Quali che siano le scelte, a volte… strane, dal punto di vista legislativo, è l'insegnante che gestisce la didattica, dato che i due processi più importanti, quello di devoluzione e quello di trasposizione, sono nelle sue mani, non in quelle del legislatore!

Ah sì, dimenticavo che qualcuno mi/ci accusa di usare i termini tecnici della didattica senza spiegarli. Sì, ci sono cascato ancora: ho usato "devoluzione" e "trasposizione", in effetti, senza spiegarli.

Credo però che questa accusa si ritorca contro chi la fa. Lanciare questa accusa vuol dire ammettere non solo di essere personalmente ignoranti in didattica della matematica, ma pure di ritenere che gli insegnanti di matematica lo siano. Io credo, invece, che la cultura specifica, professionale, vera, quella della didattica, sia oramai bagaglio acquisito, patrimonio comune. Ritengo che gli insegnanti siano oramai veri professionisti della didattica, non più artisti o poeti della didattica. Credo che la professionalità docente, che si regge su consapevolezze e competenze tecniche, sia vera e reale. Per lo meno, così penso di quegli insegnanti che frequentano questo nostro Convegno. A loro, so di NON dover spiegare termini come "devoluzione" e "trasposizione", che hanno oramai 30 anni di storia scientifica e che usiamo in questi Convegni da 17 anni. Sarebbe come ritenere che un oculista abbia bisogno di sentirsi spiegare oggi tecniche e denominazioni introdotte nel suo campo professionale 30 anni fa ed oggi del tutto acquisite; se dovete fare un intervento agli occhi, vi auguro che chi dovrà operarvi, non solo non ne abbia bisogno, ma che conosca tecniche assai più recenti che su quelle si basano, più specifiche…

Coraggio, dunque, questo Convegno serve anche ad acquisire terminologie attuali ed adatte alla pratica didattica significativa.

Non è solo un auspicio, è una sicurezza.

Bruno D'Amore